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11 settembre 2001: contenimento della Russia e debolezza dell'Europa (Robert Steuckers)
Bruxelles, 31/01/2002
1. Secondo lei, Robert Steuckers, gli attentati dell’11 settembre 2001 sono il punto di partenza, simbolico e spettacolare, di un nuovo ordine mondiale che si cerca, quello del dopo guerra fredda, non considerando gli scorsi dieci anni che un periodo transitorio?
Io penso che questi attentati non siano per
nulla un punto di partenza, ma al contrario un avvenimento, più
spettacolare degli altri, che punteggia una guerra in atto dalla
conquista delle Indie da parte degli Inglesi nel XVIII secolo. La
dimensione spettacolare degli attentati di New York punta a dare il
colpo d’avvio ad una operazione importante, decisiva, il cui obiettivo
ultimo, sognato da due secoli, è di controllare alla fine uno spazio in
Asia centrale che si era sempre sottratto dapprima al dominio britannico
e poi a quello americano. Questa operazione tanto attesa, è
l’occupazione dell’Afghanistan al fine di farne una zona di transito
sicuro per il petrolio estratto dai giacimenti situati nelle repubbliche
musulmane dell’ex URSS, divenute degli Stati indipendenti. In un tale
contesto, mi permetto di ricordare che l’idea di un “Nuovo Ordine
Mondiale” non data da ieri. Per intervenire al di fuori della sfera
americana ed uscire dai limiti che essi si erano imposti da soli per una
interpretazione stricto sensu della Dottrina di Monroe (1823:
"L'America agli Americani"), gli Stati Uniti hanno sempre dovuto evocare
la loro « missione » morale nel mondo o promettere un « mondo migliore
», un « mondo meglio gestito » che porterà alla fine dei conflitti,
dunque della storia. Woodrow Wilson non fa un discorso diverso a partire
dal 1916 e con la creazione della "Società delle Nazioni" (alla quale
gli USA non aderiranno!). Roosevelt ne segue le orme. Bush padre
rispolvera la formula magica durante la Guerra del Golfo ed il suo
avversario Clinton, che gli succede, prosegue lo stesso discorso. In
realtà, dietro queste frasi diversive, noi ci troviamo a che fare con
una guerra perpetua, in cui l ‘Isola americana tenta di controllare il
Vecchio Mondo, di neutralizzarlo e di colonizzarlo, come l’Isola
Inghilterra aveva in precedenza tentato di fare. La guerra fredda non è
stata che una tregua, un modus vivendi dopo la seconda guerra mondiale,
che gli Stati Uniti avevano vinto grazie al sangue versato dai soldati
russi di Stalin e strumentalizzando dei partigiani comunisti in
Yugoslavia, in Italia e in Francia (Tito, in seguito fedele servitore
dell’Occidente contro l'URSS; il fasullo "Colonnello Valerio" che
abbatte Mussolini e Claretta Petacci, molto verosimilmente su ordine dei
servizi britannici; il Colonnello Guingouin, rinnegato da Thorez dopo
le ostilità, etc.). A partire da Reagan, sulla base dell'alleanza tacita
con la Cina realizzata con Nixon nel 1972 grazie all’abilità
diplomatica di Kissinger, l'anti-sovietismo diviene più virulento e non
più solamente parlato come ai tempi del maccarthysmo. Gli Stati Uniti
decidono di far conto sull’Afghanistan scommettendo sul fondamentalismo
musulmano; in seguito, essi replicano, con l’analoga strategia dei
"Contras" in Nicaragua.
Per un’analisi situazionista/debordiana dell’11 settembre 2001
La
dimensione "spettacolare" degli attentati dell’11 settembre 2001
rientra effettivamente nell’ambito dello « spettacolo », quale lo
concepiva Guy Debord. Io ricordo che il nucleo fondamentale della
critica che Debord rivolgeva al sistema dominante era di affermare che
questa istituzione onnipotente e planetaria fa tabula rasa del passato,
rifiutandosi di tenere conto delle lezioni del passato o, peggio,
insegnando l’oblio del passato per togliere ai popoli quest’arma
impareggiabile: il ricorso alla memoria che sbarra la strada ad ogni
forma di manipolazione. Per Guy Debord, lo spettacolo deve permettere ai
veri dirigenti di lavorare sulla posta in gioco, senza essere
disturbati da una contestazione che emani dai popoli. Le spettacolo deve
servire a manipolare i popoli (divenuti masse), a fare loro accettare
delle azioni che essi in modo democratico non avallerebbero. Io penso
che un’analisi "debordiana" dell’11 settembre sia perfettamente
sostenibile, tenendo conto che la posta reale, lo scopo mirato, è
evidentemente l’occupazione dell’Afghanistan, ultimo territorio della
"Terra del Mezzo" centro-asiatica sino a qui sfuggito ad un autentico
allineamento.
Gli "ultimi dieci anni" che lei evoca nella sua
domanda sono dieci anni di guerra reale, dieci anni di guerra per i
grandi obiettivi strategici del pianeta. Ma gli episodi di questo
conflitto non sono che gli ultimi di una guerra iniziata nel XVIII
secolo. In effetti, questa guerra comincia per l’inquietudine inglese di
fronte allo sviluppo della flotta russa che era penetrata nel
Mediterraneo orientale e aveva battuto la flotta ottomana a Chesmé nel
1770. Questa vittoria permette di ottenere il porto di Azov nel 1774 in
occasione del Trattato di Kütschük-Kainardschi, che condurrà alla
liberazione della Crimea nel 1783 ed alla costituzione di una flotta
russa del Mar Nero sotto l’impulso di Potemkine, poi alla liberazione di
tutta la costa pontica tra il Dniestr e il Boug (Trattato di Jassy del
1792) grazie alla strategia militare del Principe Souvorov. Anche se gli
Inglesi avevano favorito la Russia prima di Chesmé, essi finirono per
inquietarsi per il suo accrescimento e per le minacce che essa rischiava
di far pesare sulla via delle Indie nel Mediterraneo orientale e sulle
stesse Indie in Asia centrale. Un memorandum anonimo viene inviato a
Pitt nel 1791 dal titolo "Armamento russo" o "Sull’armamento della
Russia". Questo testo, del quale non si sottolineerà mai troppo
l’importanza capitale per tutta l’ulteriore storia mondiale, esprime per
la prima volta l’idea di « contenere » la Russia a nord del Mar Nero.
Esso è alla base di tutte le politiche di “contenimento” inglesi e
americane del XIX e del XX secolo. La guerra cui oggi noi assistiamo
deriva dunque da questo memorandum del 1791, il che ci permette di dire
che essa dura da 210 anni, con alterne fortune, ma che torneranno sempre
a vantaggio della talassocrazia.
Francesi e Russi cacciati dal Mediterraneo orientale
Ma,
nella stessa epoca, la Francia si trova egualmente nel mirino
dell’Inghilterra. Pierre Girault de Coursac, purtroppo deceduto
recentemente, e sua moglie Pierrette, come lo storico Olivier Blanc,
hanno perfettamente dimostrato i meccanismi e le motivazioni della
strategia anti-francese, elaborata contemporaneamente all’idea di
contenere la Russia. C’è tuttavia un denominatore comune a questa doppia
ostilità verso la Russia e verso la Francia nell’Inghilterra di fine
XVIII secolo: impedire a queste due potenze continentali (sebbene si
possa affermare che la Francia sia « binaria », cioè continentale e
marittima) di darsi uno strumento navale e di fare il grande salto verso
il largo. Questo deve rimanere, in ogni caso, una riserva di caccia
ieri per l’Inghilterra, oggi per gli Stati Uniti. Le grandi operazioni,
le battaglie fondamentali dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica sono
state, per i Britannici, quelle per cacciare i Francesi dai due bacini
del Mediterraneo: il bacino orientale dopo Abukir, il bacino occidentale
dopo Trafalgar. Impedire ai Russi di penetrarvi: ecco la Guerra di
Crimea, il sostegno alla « Sublime Porta » nel momento in cui i Russi
minacciano di entrare a Costantinopoli nel 1878, lo sbarco a Gallipoli
nel 1915 per arrivare a Istanbul prima dei Russi, il sostegno a Mustafa
Kemal e al sistema kemalista fino ai nostri giorni, la sfiducia nei
confronti della Grecia ortodossa, giudicata russofila, che si tradurrà
in particolare nell’ostilità al nazionalismo panellenico dei
Greco-Ciprioti.
L’ossessione britannica è quella di vedere la formazione di un’alleanza euro-russa lanciarsi sull’Oceano Indiano, l’ « Oceano del Mezzo » dei geopolitologi che ragionano secondo la dialettica « Terra/Mare ». Questa ossessione non data dal patto germano-sovietico del 1939, né dagli accordi Rathenau / Tchitcherin di Rapallo nel 1922, ma piuttosto dai progetti di alleanza tra lo Zar Paolo I (descritto, guarda caso, come un folle !) e Napoleone Bonaparte nel 1801: gli eserciti francesi dovevano discendere il Danubio su imbarcazioni fluviali, attraversare il Mar Nero, unirsi ai Cosacchi dello Zar ai confini della Persia, e marciare di concerto sull’India per dividersela e cacciare i Britannici dall’Oceano Indiano. L'ostilità all’arteria danubiana in Europa centrale e l’ossessione di vedere degli eserciti venuti dalla Russia giungere sulle rive dell’Oceano Indiano dettano ancora e sempre la condotta degli stati maggiori e delle diplomazie inglese di ieri e americana di oggi. Le case editrici militari americane e britanniche non cessano d’altronde di pubblicare, ad uso dei loro ufficiali e diplomatici, delle opere su Nelson e Napoleone nel Mediterraneo, sulle operazioni in Asia centrale dei servizi segreti di tutti i paesi, etc. Questa guerra che infuria da 210 anni è dunque quella che preoccupa gli Stati Uniti. Di fronte a questa preoccupazione, l’Europa non ha una strategia comune, le sue scuole superiori non evocano mai una visione d’assieme di questo conflitto di lunga durata, che gli Anglosassoni chiamano "The Great Game", il « Grande Gioco ».
Controllo dell’Oceano del Mezzo e della Terra del Mezzo : fine del « Grande Gioco » ?
Oggi il « Grande Gioco » rischia di concludersi con il doppio controllo dell’Oceano del Mezzo (l’Oceano Indiano controllato dal piccolo arcipelago di Diego Garcia) e della terra del Mezzo, il, cui pezzo dominante è l’Afghanistan. In questa operazione-chiave, che determinerà l’avvenire, l’Europa è esclusa, si è auto-esclusa, facendo propria la stupidità della Pompadour nel momento in cui il mediocre Luigi XV perdette il Canada: "Bah ! che ci importa di alcuni arpenti di neve!". Ora, seconda ogni buona logica geopolitica, l'Europa ha il diritto di portarsi verso queste terre e questo oceano: come i Portoghesi che lo conquistarono nel XVI secolo, come la flotta unita delle nazioni europee federate dalla Spagna e da Venezia a Lepanto nel 1571, come la Santa Alleanza del Principe Eugenio di Savoia alla fine del XVII, che marciò verso il Mediterraneo orientale e verso il Mar Nero, permettendo lo slancio di Caterina II verso la Crimea qualche decennio più tardi.
Da qui il paradosso delle ideologie dominanti e della perversità della polvere negli occhi mediatica: la storia è ritornata al gran galoppo mentre appena dieci anni fa si era annunciata, con Francis Fukuyama, la sua fine!
2. Siamo per assistere ad un riorientamento della politica globale americana che, oggi, non ha smesso di voler strumentalizzare il fondamentalismo islamico al fine di operare un neo-contenimento della Russia e del mondo ortodosso ?
Nei nostri
ambienti identitari ed europeisti, si ha generalmente la tendenza a
considerare gli Stati Uniti come una potenza fondamentalmente
protestante, anzi puritana. Per certi aspetti è vero, ma è gioco forza
constatare che il fondamento del pensiero strategico americano (e
britannico fino a qualche decennio fa) è piuttosto “deista” che
“puritano”. Mi spiego. I deisti della fine del XVII secolo e degli inizi
del XVIII, periodo in cui inizia a forgiarsi il pensiero strategico
anglosassone, reagiscono al caos scoppiato con le sette protestanti in
Europa del nord e nelle Isole britanniche sviluppando un pensiero che
vuole espurgare ogni religione dalle « emozioni » che le animano.
Hobbes non ragionava diversamente: bisognava sbarazzarsi dai fanatismi
ideologici e religiosi che provocavano guerre civili, in cui si
frantumava la comunità politica e in cui quella umana decade (da qui la
sua dichiarazione : « L’uomo diviene un lupo per l’uomo »). L'intenzione
di Hobbes è di restaurare una "polis" di tipo antico, di forgiare un
"Leviathano" politico che possa proteggere i cittadini dalla violenza
dei « folli di Dio » o dei maniaci ideologici che vogliono fare tabula
rasa delle acquisizioni storiche di ogni comunità politica radicata.
Hobbes si vede "euclideo" e le sue intenzioni sono lodevoli. Ma i
deisti, vogliono una società interamente « controllabile », senza
passioni, dunque senza energia costruttiva (il paradosso viene ben messo
in evidenza dal celebre libro di Antony Burgess e dal film « Arancia
Meccanica »). Essi vogliono anche elaborare una « fisica politica pura
», ma per svirilizzare le comunità politiche. Il percorso dei deisti
inglesi del XVIII secolo annuncia la "political correctness" di oggi,
come annuncia surrettiziamente un’altra maniera di procedere : quella di
attribuire a tutti gli avversari, reali o potenziali, le
caratteristiche di coloro che non hanno proceduto a questa
“espurgazione” delle emozioni e sono dunque descritti come deliranti,
crudeli, arretrati, dementi, etc.
Una "contro-insorgenza" per impedire alla Russia di oltrepassare la linea Herat-Kabul
Altra tattica poi sovente utilizzata: mobilitare delle popolazioni rimaste ancora allo stadio « emotivo » contro l’avversario del momento. È l’arte di eccitare dei "tribesmen" - e di armarli – contro il nemico risparmiando del tutto il sangue delle truppe metropolitane. Questa tattica è cominciata al tempo della guerra del Canada, in cui gli Inglesi manipolarono gli Irochesi contro i Francesi, i quali, a loro volta, sollevarono gli Huroni. Gli studi strategici attuali chiamano questa tecnica di guerra la “contro-insorgenza”, testata dapprima nelle Filippine con il partito filo-comunista Hukbalahap, armato dagli Americani contro i Giapponesi prima di essere distrutto dai suoi ex-patrocinatori dopo la seconda guerra mondiale. Si impone un parallelo con il sostegno apportato a Tito in Yugoslavia e a certi maquis rossi nell’Ovest della Francia. E, più tardi, negli anni 80, con il sostegno ai Contras in Nicaragua, contro un governo che era in fondo più nazionale che comunista. L'affaire dei talebani non è differente; cronologicamente, al tempo in cui i Sovietici entrano in Afghanistan nel dicembre del 1978, le potenze marittime anglosassoni non possono tollerarlo, perché l’assioma della loro geostrategia nella regione è di sostenere che i Russi (od ogni altra potenza continentale europea) non possono oltrepassare, in questo paese, la linea Herat-Kabul. Questo assioma è stato teorizzato nel 1912 da Homer Lea, aspirante ufficiale formato a Westpoint ma riformato per motivi di salute, prima di sostenere brillantemente la causa dell’Impero Britannico nei dibattiti geopolitici della sua epoca. Mai i Britannici e, dopo di loro, gli Americani hanno dimenticato questo assioma.
Ma il nuovo spettro nucleare interdiceva un intervento diretto; si è dunque dovuti ricorrere a dei metodi, già sperimentati, di guerra indiretta, nel caso una variante della « contro-insorgenza » che viene chiamata "low intensity warfare" o "guerra di bassa intensità". Si armano dunque i Mudjahhidin che riportano la vittoria, poi, contro di loro, i talebani che, giusto in precedenza, destabilizzavano l’alleato pakistano. La Presidente Benazir Bhutto, inquieta per le trame fondamentaliste nelle regioni pashtun del suo paese, domanda l’aiuto americano per sradicare il problema; la CIA decide di stornare l’aggressività pashtun-talebana autoctona verso l'Afghanistan e di trasformarla nella punta di lancia di una “contro-insorgenza” inter-afghana. Agli elementi autoctoni pashtun si aggiunge una legione araba finanziata dall’Arabia saudita e più o meno diretta da Bin Laden (per l’importanza che possa realmente avere questo nuovo « demonio » mediatico !). L'Afghanistan sarà dunque tenuto per quattro o cinque anni da questo binomio formato da autoctoni radicali e da missionari virulenti di obbedienza islamo-djihadista.
Bush vuole prendere il petrolio là dove si trova
Arriva Bush che, contrariamente alle amministrazioni democratiche che l’hanno preceduto, non vuole puntare solo sul petrolio della penisola arabica, dominata dai Sauditi. Bush vuole prendere il petrolio là dove esso si trova e desidera far passare gli oleodotti per il territorio afghano, affiché essi non passino per la Russia e soprattutto per l’Iran. In questo progetto, il petrolio dell’Asia centrale deve sfociare sull’Oceano del Mezzo, altrimenti detto Oceano Indiano, saldamente tenuto dalle forze aeronavali americane, la cui base principale si situa sulla piccola isola di Diego Garcia (centro nevralgico dell’Oceano Indiano già previsto da Homer Lea!). Da qui la rottura tra Bin Laden – polo saudita dell’impresa talebana – ed i suoi patrocinatori americani, che è in realtà una controversia tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti. Non è un caso se il grosso delle forze terrestri britanniche e americane è ammassato nella penisola araba con 24.000 soldati (un quarto dell’esercito britannico, con i suoi migliori reggimenti) a Oman e circa ventimila Americani lungo la frontiera del Kuwait. In effetti, l’Arabia Saudita, epicentro dell’Islam, è tenuta alla gola, messa sotto, neutralizzata. Questa umiliazione reale, ma ignorata perché non mediatizzata, spiega la rabbia della rete Al-Qaida alla quale appartengono Bin Laden e la maggior parte degli autori, in maggioranza sauditi, degli attentati di New York (autori che possono essere stati manipolati per creare il pretesto di un intervento destinato a finalizzare il “Grande Gioco”).
Se le pedine future della ricorrente strategia della « contro-insorgenza » non saranno più necessariamente, negli anni a venire, dei fondamentalisti islamici, una cosa è certa : con o senza fondamentalisti, la strategia del « contenimento » resterà all’ordine del giorno, lasciando agire altri pedoni sulla scacchiera (la “Grande Scacchiera” di Brzezinski sulla quale si svolge proprio il “Grande Gioco”). Dei pedoni che saranno animati da un altro fanatismo o da un’altra ingenuità ideologica.
3. Quale può e deve essere la collocazione dell’Unione Europea in questa ricomposizione?
Gli
avvenimenti della Guerra del Golfo e del Kossovo hanno largamente
dimostrato che l’Europa era perfettamente incapace di prendere la minima
iniziativa. Devono essere ricordati alcuni fatti che i media hanno
timidamente evocato, ma senza alcuna insistenza. Ad esempio, il computer
centrale dell’UE è parassitato da un “bug spia” americano, in modo che
Washington possa prendere direttamente delle misure preventive nei
confronti di ogni iniziativa europea in grado di scalfire, anche se
leggermente, gli interessi degli Stati Uniti. Poi, altro scandalo che ha
fatto un po’ più eco : il problema della rete satellitare di spionaggio
ECHELON, alla quale partecipa la Gran Bretagna, membro dell’UE, in
virtù degli accordi UKUSA (che impegnano gli Stati Uniti, il Regno
Unito, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda). Lo STOA (Ufficio di
valutazione delle Opzioni Strategiche e Scientifiche) del Parlamento
Europeo lavora per stabilire la dimensione esatta di questo spionaggio
elettronico. I risultati di questa inchiesta hanno già potuto provare
che è a livello commerciale che alcune ditte europee (tra cui la
"Thomson CSF") hanno perduto dei mercati a vantaggio dei loro omologhi
americani, informati da questo spionaggio sistematico. In tali
condizioni e senza armi equivalenti, l’Europa parte totalmente perdente.
E nessuna forza politica seria è attualmente in grado di opporsi a
questo nuovo imperialismo elettronico.
I compiti che dovrebbe realizzare un’Europa ideale
Dimentichiamo per un istante questa UE incapace di fare fronte alle reali poste in gioco e tracciamo schematicamente le grandi linee di quella che dovrebbe essere idealmente la posizione della UE:
1) Avere una politica
satellitare coerente ed efficace, in grado di contrastare lo spionaggio
elettronico globale del gruppo UKUSA. Questa politica non è possibile
che in cooperazione con la Russia, la cui esperienza spaziale è antica e
solida.
2) Sulla base di questa politica satellitare, lanciare
una catena di televisione europea equivalente alla CNN per dare
un’informazione globale in inglese, difendendo ed esplicitando gli
interessi fondamentali dell’Europa.
3) Sviluppare una marina
mercantile e militare che renda nulle e disattese le clausole del
Trattato di Washington del 1922, con il quale la Germania vinta e la
Francia « vittoriosa » erano entrambe state costrette ad abbandonare o a
ridurre assai considerevolmente le loro flotte di guerra. In Francia,
da quella drammatica, immeritata capitolazione esiste tutta una
letteratura strategica orientata verso il controllo degli oceani, ma
essa viene ignorata dai media e dal grande pubblico. Peggio: la
strategia mediatica dominante, che mira a istupidire e a decerebrare i
Francesi, la nasconde in tutti i modi possibili, al fine di far passare
il nemico americano, sornione ed ipocrita, come il « Grande Protettore »
che dispensa ogni beneficio.
4) Mettere in piedi una « Forza di
Dispiegamento Rapido » attorno all’Eurocorps, dotandosi della capacità
di trasportare queste truppe: grossi aerei da trasporto (forse il nuovo
Airbus? Oppure una versione perfezionata dei modelli russi attualmente
in servizio?) e navi da guerra, tra cui portaerei moderne.
5) Il
primo impegno concertato da esibire è quello di resistere al più debole
alleato degli Stati Uniti nel Mediterraneo orientale : la Turchia. La
politica dell’UE deve essere assolutamente intransigente nei confronti
di questo paese, che alla fine non cerca che una sola cosa : vendicarsi
di Lepanto, delle campagne del Principe Eugenio e delle avanzate russe
in direzione di Costantinopoli e del Caucaso. L'Europa è immobilizzata
se il suo Sud-Est è incatenato o si trasforma in una zona di marasma a
causa di disordini interminabili. Nel quadro dell’OCSE, Europei e Russi
devono unire i loro sforzi per piegare Ankara. Le grandi linee di questa
politica devono essere : evacuazione immediata e senza condizioni di
Cipro (che dovrà ospitare buona parte delle forze di rapido intervento
dell’UE), trasformazione di Cipro in una fortezza inespugnabile (di
concerto con la Russia), evacuazione di tutti i « consiglieri » turchi
dall’Azerbaïdjan, dalla Bosnia e dall'Albania, severo controllo
dell’immigrazione turca e delle reti mafiose turche in tutti i paesi
dell’Europa (secondo il rapporto consegnato al Ministero dell’Interno
olandese), reintroduzione dei visti per recarsi in questo paese al fine
di ridurre le risorse che esso ottiene con il turismo, accordare
protezione alla Siria e all’Irak contro la politica turca che mira a
prosciugare questi paesi (asse principale della politica araba di una UE
rigenerata), assoluta libertà di passaggio di tutte le navi russe ed
europee attraverso gli stretti (Bosforo, Dardanelli), favorire ogni
forza politica centrifuga e prendere sistematicamente il pretesto della
loro repressione, da parte del potere militare-mafioso, per isolare
diplomaticamente il paese e bloccare ogni cooperazione regionale o
continentale con esso, protestare senza posa contro la sua presenza
nella NATO. Si tratta di indebolire definitivamente il principale
alleato degli Stati Uniti nell’orbita europea, di ostacolarlo in tutti i
suoi movimenti con una politica di ostruzione sistematica. Senza lo
strumento turco, gli Stati Uniti sono completamente privati di forze sul
teatro europeo. Si tratta dunque di rendere inoperante questo strumento
con tutti i mezzi. Noi non agiamo dunque per turcofobia patologica, ma
per far funzionare una semplice fisica diplomatica e strategica.
6)
Ugualmente, la Gran Bretagna deve abbandonare ogni partecipazione alla
rete ECHELON (e ad altri sistemi di spionaggio satellitare ed
elettronico) o lasciare l'UE.
7) I principi che devono guidare questo lavoro sono quelli della Santa Alleanza di Eugenio di Savoia, dunque un sistema di alleanza che comprenda la Russia. Questi principi sono stati ulteriormente enunciati nei lavori diplomatici del filosofo tedesco Leibnitz.
8) In Asia centrale, la politica di un’Europa
rigenerata deve essere quella dell’armonizzazione delle forze
dall’Artico all’Oceano Indiano e non una politica di « contenimento »
che condanna agli stenti larghe porzioni dell’umanità e genera processi a
catena di ininterrotte, inutili guerre.
Voi potete immaginare come
tra i miei auspici, formulati dopo la lettura dell’epopea del Principe
Eugenio, dei testi diplomatici di Leibniz e del suo successore danese
Schmidt-Phiseldeck, e la triste realtà di un’Europa senza colonna
vertebrale politica e geopolitica, vi sia un margine. Ma esistono le
iniziative metapolitiche per ridurre tale margine a zero, anche se vi
fosse bisogno di predicare per 100 anni per raggiungere l’obiettivo.
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